Uno dei problemi che più attanagliano la sanità italiana è la mancanza di medici: di conseguenza molti vedono nell’aumento dei posti disponibili a Medicina (se non addirittura nell’eliminazione del numero chiuso) una soluzione. È quello che ha fatto il Ministero della Salute, aumentando i posti disponibili nei fabbisogni formativi per il prossimo anno accademico - ma secondo Fnomceo, la Federazione degli Ordini dei Medici, non solo non è la soluzione giusta ma rischia di creare ulteriori problemi. Perché?
Partiamo dai dati: la richiesta per i laureati magistrali a ciclo unico per Medicina, Veterinaria e Odontoiatria è cresciuta di 1.272 posti rispetto allo scorso anno e di 2.881 rispetto a due anni fa. Ci sono però due cose da considerare. La prima è che per formare un medico e metterlo in condizione di operare nel Servizio sanitario nazionale ci vogliono almeno dieci anni fra corso di laurea e specializzazione: gli studenti del prossimo anno accademico, quindi, entreranno in servizio nel 2035, quando però andranno in pensione solamente 6mila medici circa. Da un mancato ricambio generazionale, secondo Fnomceo, si passerà quindi a un eccesso di offerta di almeno 10mila nuovi medici, che il Servizio sanitario non potrà assorbire immediatamente. La seconda cosa da tener presente, poi, è che la mancanza di medici non è generalizzata ma si concentra in alcune specializzazioni che i neolaureati vedono come non attrattive o più usuranti di altre: per l’anno accademico 2022-23 gli immatricolati avevano coperto quasi tutti i posti per diventare oculista, ginecologo, dermatologo, cardiologo, chirurgo plastico e qualsiasi altra attività desse sbocchi nel privato. Erano invece andate deserte specializzazioni come radioterapia (10,7% posti assegnati sui 173 contratti a disposizione), medicina di comunità e cure primarie (13 posti coperti su 131 a disposizione, 90% di borse non attribuite), e soprattutto Medicina di Emergenza Urgenza (214, solo il 25% delle 858 borse a disposizione). Il motivo? Secondo Fnomceo sono le condizioni di lavoro per i medici nel settore pubblico, le cui retribuzioni sono scese di oltre il 6% tra il 2015 e il 2023 e sono tra le più basse di tutti gli altri Paesi europei.
Che piaccia o no, quindi, il Servizio sanitario si trova a dover competere con il settore privato italiano (ma anche con i servizi sanitari di altri Paesi) per assicurarsi la presenza di medici nelle proprie strutture. Per risolvere il problema, secondo Fnomceo, servirebbe non tanto aumentare il numero di medici che si formano, ma attrarre e trattenere i giovani professionisti nel pubblico con condizioni di lavoro migliori e stipendi più alti. “Anziché utilizzare risorse pubbliche per creare medici in esubero - ha affermato il Presidente Fnomceo Anelli - che saranno costretti a fuggire all'estero o nel privato, in un circolo perverso che non farà che rendere sempre più fragile il nostro Servizio sanitario nazionale, investiamole per rendere le retribuzioni dei medici coerenti con quelle dei colleghi europei”. Un problema che riguarda anche i medici di medicina generale, perché devono fare i conti non solo con una burocrazia insostenibile e che impedisce loro l’effettiva pratica medica, ma anche col fatto che pur facendo parte del Servizio sanitario nazionale sono liberi professionisti, e devono quindi pagare di tasca propria tutte le spese necessarie all’esercizio della propria attività senza godere di ferie, malattia, maternità o altri diritti.
(Photo credits: Nathan Dumlao/Unsplash)
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