Nel tradizionale discorso di fine anno il Presidente della Repubblica ha toccato molti temi, ma tra questi una menzione speciale è toccata alla Sanità. Il Presidente Mattarella ha infatti non solo sottolineato che “occorre operare affinché quel presidio insostituibile di unità del Paese rappresentato dal Servizio sanitario nazionale si rafforzi, ponendo sempre più al centro la persona e i suoi bisogni concreti, nel territorio in cui vive”, ma ha anche affermato che “le differenze legate a fattori sociali, economici, organizzativi, sanitari tra i diversi territori del nostro Paese […] creano ingiustizie, feriscono il diritto all’uguaglianza”.
Con queste frasi il Presidente ha centrato i due temi essenziali sui quali è necessario agire per fermare il declino della sanità pubblica. Il primo è rafforzare la presenza del SSN “nel territorio in cui si vive”, tornando a investire in una sanità diffusa e di prossimità per la quale sono essenziali i medici di medicina generale. Il secondo tema riguarda le diverse velocità con cui opera la sanità pubblica nelle diverse Regioni del nostro Paese. La Costituzione affida infatti agli enti regionali la spesa sanitaria creando così “isole felici” e aree dove invece è sempre più difficile curarsi. Tutto questo in un quadro generale nel quale l’aspettativa di vita media in Italia cresce insieme all’età media della popolazione: un fenomeno che fa aumentare la popolazione anziana, e quindi anche la spesa sanitaria.
Il sistema, per come è stato concepito nel 1978, semplicemente non è più al passo coi tempi e a oggi quello che manca è soprattutto una riforma complessiva. Da anni, infatti, si procede per misure “tampone” che non possono funzionare a lungo, come ad esempio l’aumento del 20% del numero massimo dei pazienti dei medici di medicina generale per risolvere una carenza di giovani medici che ormai è un problema nazionale. Oppure, quando una riforma organica viene tentata, si comincia ad operare non dalle fondamenta ma dal tetto: il PNRR stesso prevede infatti una riforma e una riorganizzazione delle cure territoriali con al centro le Case di Comunità, che vedranno operare al proprio interno i medici di famiglia per essere quanto più possibile a disposizione dei cittadini. Ma ad oggi l’Accordo Collettivo Nazionale 2023-26 che deve definire i compiti dei medici nelle Case di Comunità non è pronto, e deve essere ancora approvato quello per il 2019-22.
Questi sono solo due dei tanti esempi che mostrano come i decisori politici e gli amministratori locali, ora più che mai, non possono rimandare una revisione complessiva coraggiosa, realistica e a lungo termine del nostro Sistema sanitario nazionale: una riforma che, come sottolineato dal Presidente della Repubblica, ponga al centro la persona nel territorio in cui vive e nella quale non esistano più differenze legate a fattori sanitari nei territori del Paese.
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