Il più recente “Dataroom” del Corriere della Sera si è occupato dei medici di medicina generale, e ha confermato senza mezzi termini che la professione non è più scelta dai giovani in quanto poco attrattiva rispetto ad altre specializzazioni: di conseguenza ci sono sempre meno medici di famiglia in Italia, con conseguenze pesanti per i cittadini. Il team di Gabanelli ha segnalato anche che con enorme un ricambio generazionale in arrivo i giovani vorrebbero diventare dipendenti del Sistema sanitario, e che la professione sarebbe sostanzialmente sotto il controllo dei sindacati (e quindi dei loro iscritti più in là con l’età). Ma è proprio così?
Innanzitutto il corso di formazione in medicina generale, afferma il “Dataroom”, non formerebbe adeguatamente i futuri medici di famiglia perché sarebbe sotto il controllo dei sindacati: stiamo parlando di un corso che però non è universitario, e che forma i laureati “sul campo” oltre che in teoria. In questo senso è molto più un praticantato che una specializzazione, e i medici più esperti e disponibili contribuiscono alla formazione dei loro futuri colleghi solo per dare loro la possibilità di avere il miglior avvicendamento possibile con un medico che va in pensione. Il motivo è semplice, a ben vedere: sostituire un collega in pensione, per un giovane medico di famiglia, significa ricevere dall’oggi al domani la responsabilità di centinaia e centinaia di pazienti, che il “vecchio” medico conosceva da anni e con i quali lui o lei deve invece costruire un rapporto efficace nel minor tempo possibile. E solamente chi ha fatto il medico di medicina generale per decenni può dare ai suoi colleghi di domani gli strumenti per operare nel modo migliore, perché chi oggi forma i medici di famiglia non ha ricevuto a suo tempo la stessa formazione.
Il “Dataroom” sostiene anche che gli strumenti per la diagnostica di primo livello negli ambulatori dei medici di famiglia, che permetterebbero di evitare al cittadino “rimpalli” tra ambulatori e specialisti, non sarebbero stati acquistati “probabilmente anche per la resistenza dei più anziani che sostengono di non saperli usare”. Ma è stato proprio il sindacato a sollecitare a suo tempo l’investimento, e poi a insistere perché parte di quei fondi fossero usati durante la pandemia. Inoltre con il Pnrr le Regioni hanno previsto l’uso di questi fondi per dare strumenti diagnostici alle sole case di comunità “hub” - ovvero quelle più centrali - ed è stata Fimmg a insistere perché le stesse dotazioni arrivassero anche ai singoli ambulatori e alle case di comunità “spoke”, quelle più periferiche e più importanti per garantire ai piccoli comuni una copertura sanitaria adeguata
Infine il punto più pesante: secondo il “Dataroom” sempre più giovani medici di famiglia vorrebbero diventare dipendenti del Servizio Sanitario nazionale piuttosto che liberi professionisti che operano in convenzione con lo Stato. Può darsi, ma facendo due conti a “remare contro” ci sono due dati di fatto non da poco. Il primo è la fiscalità: con il nuovo limite del regime forfettario la pressione fiscale del liberi professionisti è molto inferiore a quella dei dipendenti pubblici con pari stipendio, rendendo meno appetibile questa opzione per i giovani. Il secondo è la sostenibilità dei conti pubblici: un medico in convenzione riceve una certa somma, proporzionata ai suoi pazienti, e con essa deve coprire tutte le spese professionali. Se lo Stato proponesse la dipendenza allo stesso costo, pagando quindi tutte le spese correlate alla professione, al medico arriverebbero molti meno soldi, e quindi in tanti non accetterebbero: se invece ci fosse un pur moderato aumento (ad esempio per pagare i molti ambulatori delle zone carenti e disagiate) i costi aggiuntivi potrebbero rappresentare un peso intollerabile per un Paese che ha quasi tremila miliardi di Euro di debito pubblico. Ad oggi, secondo Istat, 4,5 milioni di persone hanno rinunciato a curarsi perché i tempi di attesa per esami e visite sono troppo lunghi oppure perché fare controlli costa troppo: in questo scenario usare soldi pubblici per rendere dipendenti i medici di famiglia sarebbe davvero la cosa più efficiente da fare? Ed è davvero utile “sparare a zero” contro i rappresentanti di categoria di chi, sotto organico e con equilibri vita/lavoro sempre più pesanti, continua a fare del suo meglio per fare il suo mestiere sul campo e sui territori?
(Photo credits: Orzalaga/Pixabay)
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