Da anni uno dei problemi che affligge il Sistema sanitario è la carenza di medici, particolarmente in alcuni settori come l’emergenza/urgenza e la medicina di famiglia. Negli ultimi dieci anni spesso si è indicata come soluzione l’abolizione del numero chiuso alla facoltà di Medicina, ovvero quel meccanismo che consente solo a un certo numero di persone di cominciare il corso di studi ogni anno: una misura apparentemente sensata e immediata che il governo avrebbe varato la settimana scorsa. Ma è proprio così, e basterebbe questo a risolvere il problema?
Innanzitutto c’è da dire che i test d’ingresso alla facoltà di Medicina non sono l’unico ostacolo per i futuri medici. Il secondo, e ben più importante, è la specializzazione richiesta per lavorare negli ospedali o come medici di famiglia, senza la quale non è possibile partecipare ai concorsi. Quindi ogni anno a determinare la quantità di medici che prenderanno servizio sono sia il numero di studenti ammessi che quello di borse di studio garantite dallo Stato, e l’attuale mancanza di medici è dovuta a una programmazione sbagliata che si è protratta per gli ultimi vent’anni. Allo stesso modo le eventuali misure prese oggi avranno un effetto pratico fra almeno un decennio, perché tanto serve a uno studente per diventare medico a tutti gli effetti.
Veniamo quindi alla novità degli ultimi giorni: il testo della commissione Cultura che ha rivisto l’accesso al Corso di Laurea in Medicina, una volta approvato, dovrebbe consentire a chiunque di iscriversi alla facoltà, frequentare i corsi e sostenere quattro esami nei primi sei mesi di università. Ma al termine di questo periodo gli aspiranti medici verranno valutati e solo chi avrà un punteggio alto potrà proseguire. Nei fatti, quindi la barriera all’ingresso è stata solo spostata di sei mesi, ma nel frattempo i corsi iniziali verrebbero presi d’assalto da molti più studenti di quanti potranno poi proseguire, con problemi notevoli per le università, che dovrebbero costruire aule molto più grandi e destinare molti più professori all’insegnamento. E se al termine dei sei mesi fossero lasciati proseguire nel corso molti più studenti di prima il risultato sarebbe quello di una vera e propria “pletora medica”, ovvero una quantità di medici superiore a quelli di cui avrebbe bisogno il Sistema sanitario (e quindi destinati alla disoccupazione).
Questa “abolizione” del numero chiuso, quindi, non solo non risolve l’attuale problema della mancanza di medici in Italia ma non affronta il vero nodo, che è l’attrattività di alcune specializzazioni, le cui borse di studio spesso non vengono assegnate: il motivo è che portano a professioni molto usuranti o poco redditizie - se non entrambe - e quindi i giovani studenti non le scelgono. La soluzione, quindi, non è certo l’abolizione del numero chiuso o un suo spostamento in avanti, ma una programmazione attenta da parte delle istituzioni, da attuare insieme alle rappresentanze dei medici e che tenga conto del cronico stato di sottofinanziamento della sanità italiana rispetto agli altri Paesi europei.
(Photo credits: Changbok Ko/Unsplash)
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