Autonomia differenziata e Sanità: un approccio rischioso

Luci e ombre del “regionalismo differenziato” nella tutela della salute

Lo scorso 2 febbraio la bozza del Disegno di Legge sulla cosiddetta “autonomia differenziata” è stata messa all’ordine del giorno dal Consiglio dei Ministri. Si tratta di un processo che ha avuto una storia lunga e travagliata: avviato nel 2017 da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, le tre regioni dove la sanità gode sia degli indicatori di performance migliori che di maggiori disponibilità economiche - in breve, regioni “di eccellenza” - ad oggi ha attraversato tre legislature, cinque governi e una pandemia globale.

Per quello che riguarda la Sanità le richieste portate avanti dalle Regioni sono molteplici e alcune sono di assoluto buon senso, come l’eliminazione dei tetti di spesa per l’assunzione di personale sanitario e la creazione di contratti di formazione-lavoro, che dovrebbero sostituire le attuali borse di studio per far affacciare al mondo del lavoro specialisti e medici di medicina generale più velocemente. Altre richieste, invece, rischiano di aumentare le diseguaglianze tra i territori proprio in un momento nel quale gli obiettivi del PNRR ci impongono di ridurle, come ad esempio la richiesta del Veneto di contrattazione integrativa regionale per i dipendenti del Sistema sanitario nazionale. Inoltre il testo non consente al Parlamento di esprimere un parere vincolante sulle intese fra Ministero degli Affari Regionali e Regioni e sulle assegnazioni di risorse umane e finanziarie, dato che saranno determinate da conferenze Stato-Regioni. Altro tasto dolente, poi, sono i LEP, ovvero i livelli essenziali di prestazioni che secondo la Costituzione devono essere garantiti allo stesso modo su tutto il territorio nazionale e che in sanità sono l’evoluzione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) che esistono dal 2001. Secondo il disegno di legge, i LEP verranno stabiliti da un’apposita commissione tecnica tramite DPCM - quindi senza intervento alcuno del Parlamento - e non dovranno necessariamente essere raggiunti prima che alle Regioni venga data la possibilità di agire in maggiore autonomia. Questo vuol dire che le regioni che già ora offrono i migliori livelli di prestazioni (ovvero Emilia Romagna, Toscana, Veneto, Piemonte e Lombardia) avranno da subito una maggiore autonomia e potranno usarla per aumentare il divario rispetto a quelle regioni che già ora offrono prestazioni sotto la media.

Allo stato attuale delle cose, quindi, un processo di riforma come questo non farebbe altro che aumentare fenomeni come la mobilità sanitaria, il divario tra Nord e Sud (che nonostante la definizione dei LEA non solo non è diminuito, ma è aumentato) e potenzialmente anche il reperimento di sufficiente capitale umano per il Sistema sanitario nazionale, in un momento nel quale uno dei principali vincoli del PNRR è, invece, rendere il SSN più uniforme e universale a livello nazionale.

 

  

(Photo credits: NASA/Licenza CC BY-SA 3.0 IGO)

 

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