Che succede senza rapporto di fiducia tra medico e paziente.
Il Regno Unito e l’Italia hanno sistemi sanitari simili: in entrambi i paesi è il governo a finanziare le cure alla popolazione, e in entrambi i paesi i medici di famiglia hanno compiti e formazione comparabili. Sia in Italia che in Inghilterra inoltre il sistema sanitario è in seria difficoltà, e fra i settori più in difficoltà c’è proprio la medicina generale: in questo l’Inghilterra è un esempio negativo, ma l’Italia pare proprio voler seguire lo stesso percorso. Perché?
Tutto ruota intorno all’ipotesi di riforma del ruolo dei medici di famiglia italiani, perché secondo il progetto di riforma del PNRR il futuro della sanità territoriale passerà dalle Case di Comunità, ovvero strutture intermedie tra studi medici e ospedali. Un equivalente è già attivo da anni in Inghilterra: lì si chiamano community center, e la loro presenza ha profondamente segnato il sistema sanitario. Da una parte queste strutture hanno avuto degli effetti positivi, ma negli anni in Inghilterra la professione di medico di famiglia è stata resa non attrattiva in termini di compensi, ritmi vita/lavoro e carichi burocratici, e quindi il loro numero è diminuito molto. La stessa cosa è successa anche in Italia, e i promotori della riforma dicono che la creazione delle Case di Comunità risolverà tutto, ma l’esempio inglese ci dice invece che senza più medici di medicina generale le cose peggioreranno.
In Italia c’è inoltre un rapporto fiduciario tra un medico e i propri pazienti: se un cittadino ha bisogno di un medico di famiglia si rivolgerà a quello che ha scelto, e se non dovesse essere soddisfatto potrebbe cambiarlo in ogni momento. Nel Regno Unito questo non è possibile, perché quando un cittadino ha bisogno di un medico non può sapere qual è in servizio in quel momento presso il community center. Questa non è una differenza da poco: un medico di medicina generale viene spesso chiamato “di famiglia” proprio perché segue la storia clinica di un cittadino (e non di rado di più suoi parenti) nel corso degli anni, stabilendo un rapporto di familiarità e di fiducia – ma questo non c’è più nel Regno Unito. Risultato? Sempre più inglesi si rivolgono direttamente ai Pronto Soccorso, rendendoli un vero e proprio “girone dantesco” secondo Luigi Ippolito, corrispondente da Londra del “Corriere della Sera”.
Ippolito si è trovato ad aver bisogno di cure per un caso di diverticolite e ha raccontato la sua esperienza in un articolo inquietante, dal quale emerge il fatto che i community center oggi non riescono ad alleggerire il carico sui Pronto Soccorso ma anzi lo aumentano, perché manca quel “filtro” sui territori che invece i medici di famiglia svolgono ancora in Italia. I loro studi hanno infatti un vantaggio enorme, ed è la loro capillarità: in Italia ce n’è in media uno ogni 5 chilometri quadrati, mentre l’intero progetto del PNRR prevede 1.700 Case di Comunità, una ogni 50mila abitanti circa.
Oggi i Pronto Soccorso italiani sono sotto pressione perché mancano medici di medicina generale, dato che i neolaureati in Medicina non vedono questa professione come appetibile. Se quindi continueranno a mancare le Case di Comunità non cambieranno nulla, perché i cittadini continueranno a non poter trovare un medico veramente vicino a loro e che conosce le loro esigenze nel corso del tempo. L’esperienza del sistema sanitario britannica e l’articolo di Ippolito lo testimoniano senza mezzi termini.
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