Liste d’attesa e costi, sempre più italiani rinunciano a curarsi

A dirlo è l’Istat nel suo rapporto annuale sul benessere

Ogni anno l’Istat pubblica un’indagine sul benessere degli italiani che viene compilata tramite sondaggi ed è suddivisa in 12 sezioni, dalla salute all’istruzione passando per il benessere economico e l’ambiente. Il rapporto, che si chiama “Benessere Equo e Sostenibile”, fornisce però anche i dati più completi e affidabili su un fenomeno preoccupante e di cui si parla molto di recente, ovvero il fatto che sempre più persone in Italia rinunciano a curarsi: un indicatore importante di quanto funzioni nel concreto il Servizio sanitario nazionale. Ma cosa dice su questo l’ultima edizione del rapporto?
I dati presenti nel documento sono aggiornati al 2023, e ci dicono che in Italia ben 4,5 milioni di cittadini hanno rinunciato alle cure per problemi economici, per la lunghezza delle liste di attesa o per difficoltà di accesso a strutture sanitarie troppo lontane da casa. Dal 2022 al 2023 si è quindi passati dal 7 al 7,6 per cento della popolazione: il 4,5% ha dichiarato di rinunciare alle cure pur avendone bisogno a causa delle lunghe liste di attesa, mentre il 4,2% lo ha fatto per motivi economici. Dal 2019, inoltre, il numero di persone che ha rinunciato a causa di liste d’attesa troppo lunghe è raddoppiata, con il picco raggiunto nella fascia d’età tra i 55 e i 59 anni (11,1%) e una quota elevata anche fra gli over 75 (9,8%). E non si tratta di un problema delle Regioni del Sud: sopra la media nazionale si trovano infatti Sardegna, Lazio, Marche, Umbria, Abruzzo, Molise, Piemonte, Puglia e Liguria, mentre la Toscana è al terzultimo posto (5,6% di rinunce).
I tempi di attesa si allungano, come è successo negli ultimi anni, quando c’è uno squilibrio tra domanda e offerta, ovvero quando si producono più richieste di esami e visite di quante se ne riesca a soddisfare. Quindi per ridurre i tempi di attesa bisogna garantire più prestazioni, dato che una popolazione che invecchia avrà sempre più bisogno di esami e visite, e per farlo bisogna sia potenziare le strutture ospedaliere che dare ai medici di famiglia la possibilità di svolgere esami diagnostici di primo livello. Per quanto riguarda le prime non c’è alternativa a un rifinanziamento corposo del Sistema sanitario, per il quale l’Italia spende in proporzione meno punti di Pil degli altri Paesi europei e che negli ultimi anni ha subito in maniera pesante l’effetto dell’inflazione. Per i medici di famiglia, invece, è necessario non solo sbloccare i fondi stanziati ormai cinque anni fa per l’acquisto di strumentazioni e macchinari, ma anche rendere nuovamente attrattiva la professione per i neolaureati: la diagnostica negli ambulatori dei medici di medicina generale da sola non basterà a risolvere il problema della rinuncia alle cure, ma potrà senz’altro alleggerire il carico sulle strutture pubbliche, migliorando al contempo la salute dei cittadini italiani.

(Photo credits: Valelopardo/Pixabay)

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