Decreto “liste d’attesa”, pochi fondi e tempi incerti per la sanità

Una misura fumosa che non risolve un problema urgente

Uno dei problemi più urgenti dalla pandemia in poi è stato quello delle liste d’attesa per esami diagnostici e interventi specialistici: durante il Covid si sono infatti allungate a dismisura e il sistema sanitario nazionale non riesce a smaltire questi arretrati, portando a patologie e decessi in certi casi evitabili. Per risolvere la situazione il governo ha varato un decreto e un disegno di legge che stanziano fondi immediati e promettono soluzioni strutturali, ma perché tutti i tecnici e analisti del settore concordano nel dire che questa non è una soluzione efficace?
Le misure varate dal governo stanziano immediatamente 250 milioni di Euro per defiscalizzare la produttività aggiuntiva degli operatori sanitari, cercando di incentivare la loro attività anche di sera e nei weekend: promettono anche un centro unico per le prenotazioni sia nel pubblico che nel privato convenzionato, oltre a un organismo di controllo e verifica dei tempi garantiti alla prenotazione di una prestazione. Tutte intenzioni lodevoli, ma che si scontrano frontalmente con dei dati di fatto difficilmente aggirabili. Il primo è che 250 milioni sono una cifra a dir poco modesta per lo scopo, e il resto delle misure è tutto legato all’approvazione di almeno sette decreti attuativi, che non hanno a ora una data fissa e che rischiano di avere tempi di attuazione lunghissimi. Inoltre si presuppone che il personale sanitario sia disposto ad aumentare il proprio carico di lavoro in cambio di più straordinari, quando proprio un carico di lavoro eccessivo è il primo fattore di spopolamento dei presidi del Servizio sanitario nazionale. Come poi ha sottolineato Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione Gimbe, “le misure previste prevedono solo di inseguire la domanda aumentando l’offerta, una strategia perdente: come dimostrano numerosi studi, infatti, una volta esaurito il cosiddetto “effetto spugna” nel breve periodo, l’incremento dell’offerta induce sempre un ulteriore aumento della domanda”. In altre parole manca del tutto una misura per diminuire la richiesta di prestazioni non necessarie, che contribuiscono non poco a “ingolfare” il sistema, a scapito di chi avrebbe più bisogno delle stesse prestazioni, ovvero pazienti cronici e oncologici.
I costi delle altre misure del governo, fra l’altro, verranno in molti casi coperti con i fondi già assegnati al servizio sanitario nazionale: l’ennesimo caso nel quale a misure roboanti si accompagnano risorse più che modeste, e non si prevede al momento di aggiungerne altre per raggiungere i risultati prefissati. Da questo punto di vista la soluzione adottata dal Ministero e dal Consiglio dei Ministri assomiglia molto a una scatola vuota, nella quale non c’è niente di veramente risolutivo tranne molti annunci e programmi magniloquenti. Il cuore del problema, per le liste d’attesa così come per gli altri settori in crisi della sanità pubblica italiana, rimane purtroppo il medesimo: senza una dotazione strutturale di fondi aggiuntivi per assumere più personale e risolvere problemi che si trascinano in certi casi da decenni il sistema sanitario nazionale non potrà sopravvivere nella sua forma attuale. A tutto discapito dei cittadini.

(Photo credits: governo.it)

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