“Dataroom”, basta disinformazione sui medici di famiglia

Inaccettabili le falsità affermate nell’ultima puntata

Tre giorni fa Milena Gabanelli ha firmato sul “Corriere della Sera” e nel tg de La 7 la sua puntata settimanale del “Dataroom” dedicandola alla crisi dei pronto soccorso nel sistema sanitario nazionale. Molte le cose giustamente sottolineate, come il fatto che le specializzazioni di emergenza-urgenza sono deserte e che 2 accessi su 3 nei pronto soccorso sono da considerarsi con problemi lievi: ma nel corso della puntata si sono dette anche cose palesemente false e inaccettabili nei confronti dei medici di medicina generale. Quali, e soprattutto perché?
Nell’articolo Gabanelli descrive quel 21,5% di accessi al pronto soccorso che si possono definire impropri, ovvero evitabili: il paziente-tipo ha tra i 25 e i 64 anni, arriva di lunedì e lamenta “disturbi generici” nel 51% dei casi. Si afferma poi, non completamente a torto, che “di fatto oggi il Pronto soccorso viene utilizzato al posto del medico di famiglia”, ma a questa affermazione fanno seguito frasi davvero irricevibili. “Il medico di medicina generale è un mestiere che in pochi vogliono fare”: verissimo, perché è una professione faticosa, poco redditizia rispetto ad altre e piena di vincoli burocratici, ed è proprio per questo che “i pazienti che ognuno ha in carico spesso sono troppi, arrivano fino a 1.800, anche se il massimale è fissato a 1.500” – il che spiega anche perché “consultarlo al telefono è estremamente difficile” (con 1.500-1800 pazienti stupirebbe il contrario). Fin qui transeat, ma la frase seguente non solo è insopportabilmente populista ma dimostrabilmente falsa: Gabanelli scrive che “l’ambulatorio è aperto solo alcuni giorni la settimana e solo alcune ore, il più delle volte su appuntamento.”. Gli studi medici in questione devono invece essere aperti tutti i giorni, e lo sono, non perché lo dice questo articolo ma perché lo dice il contratto nazionale dei medici di famiglia. E ancora, “quasi mai ti visita”, facendo di tutta l’erba un fascio e dando implicitamente dei fannulloni a un’intera categoria, ma “di solito ti prescrive un controllo da uno specialista”, quindi anche insinuando che non ci si voglia prendere il rischio di una decisione clinica. E poi, parlando di Pnrr e Case della comunità, “per farle funzionare sarà però necessario rivedere gli accordi con i medici di famiglia, perché al momento non ne vogliono sapere di andarci a lavorare”. Tono a parte, curioso davvero che una mansione non prevista dai contratti in essere venga respinta da chi già ora ha carichi di lavoro manifestamente al limite dei massimali di legge! Il linguaggio giornalistico ha tempi, spazi e limiti intrinseci e lo comprendiamo senz’altro: quello che non siamo disposti a tollerare è che si mescolino dati, generalizzazioni e aperte falsità per additare alla pubblica gogna – volontariamente o meno – un’intera categoria di medici.

(Photo credits: PublicDomainPictures/Pixabay)

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