Approvato un accordo pionieristico per l’Ausl sud-est
La mancanza di medici di famiglia in Italia sta lasciando sempre più cittadini senza un medico di
riferimento. Una delle soluzioni tampone adottate è stata dare la possibilità di alzare il “massimale” dei
pazienti per medico da 1.500 a 1800, ma nel territorio dell’Ausl Toscana sud-est c’erano casi nei quali
alcuni di loro se ne trovavano fino a 2.000 pazienti: una situazione intollerabile sia per il medico che per i
cittadini causata dall’Ausl e che ora, con il raggiungimento di un accordo proposto dal sindacato dei
medici Fimmg, è stata risolta senza lasciare nessuno indietro. Ma come?
Il problema tocca contemporaneamente due diritti inalienabili: il primo è quello del paziente ad avere
sempre un medico di riferimento, e il secondo è quello del medico a non avere più pazienti di quelli che
riesce a seguire in maniera adeguata. Il contratto nazionale prevede un aumento su base volontaria dei
pazienti da 1.500 a 1.800, inclusi i cosiddetti “temporanei” (bambini, minori, turisti, cittadini
extracomunitari e così via): ma in certe situazioni l’azienda sanitaria delle province di Siena, Arezzo e
Grosseto aveva aumentato tale quota anche ad oltre 2.000, e senza nemmeno dare ai medici coinvolti le
dovute quote accessorie. Per rettificare questo illecito senza danneggiare i pazienti i medici di famiglia
hanno proposto un accordo che è stato accettato: quando c’è un surplus di pazienti (ad esempio per un
pensionamento) l’azienda lo comunichera al medico che coordina le Aggregazioni Funzionali Territoriali
(Aft), ovvero le forme associative con le quali i medici di famiglia si coordinano per seguire al meglio i
pazienti del territorio. Sarà poi il coordinatore a contattare i medici per sapere quanti pazienti in più
possono seguire, in modo da redistribuirli fino a che un nuovo medico non entrerà in servizio. A quel
punto il nuovo medico otterrà i pazienti in più, in modo da garantire che quel posto di lavoro gli
garantisca entrate sufficienti e che i suoi colleghi non siano costretti a seguire troppi pazienti a tempo
indeterminato, peggiorando la qualità del loro servizio. È una vera e propria rivoluzione nel suo campo
per quanto riguarda la sanità pubblica in Italia: in questo modo si valorizza apertamente la forma
associativa delle Aft e si permette una maggiore autonomia dei medici nel prendere decisioni che
riguardano sia loro che i loro pazienti, che conoscono ben più delle altre strutture pubbliche della sanità.
Può sembrare l’uovo di Colombo, ma la proposta dei medici di famiglia riesce a tutelare tutti i soggetti in
gioco: i cittadini il cui medico è andato in pensione ne troveranno uno molto più facilmente, il
professionista che li seguirà non dovrà prendersene carico senza aver dato la sua disponibilità e l’azienda
sanitaria non dovrà pagare alcun tipo di indennità aggiuntiva rispetto a quella usuale. In un certo senso è
come se in un ufficio un impiegato andasse in pensione e i suoi colleghi si accordassero tra loro per
distribuire il lavoro scoperto, ognuno secondo le proprie possibilità, invece che secondo gli ordini del loro
superiore. Con la non secondaria differenza che in questo caso non ci sono straordinari da pagare per le
casse dello Stato.
(Photo credits: chrisiex1/Pixabay)