SEMPRE MENO TEMPO A DISPOSIZIONE PER COMPLETARE IL PROGETTO DEL PNRR
Sappiamo da tempo che l’Italia non ha tra le sue specialità la capacità di spendere nei tempi richiesti i fondi che l’Europa ci versa, e purtroppo questo sembra valere anche per la fondamentale riforma della sanità pubblica del PNRR. A confermarlo è un nuovo monitoraggio di Agenas, l’Agenzia Nazionale per i servizi sanitari Regionali, relativo alla realizzazione delle Case della Comunità, degli Ospedali della Comunità e delle Centrali operative territoriali (Cot) sul suolo nazionale, che rivela quanto davvero l’Italia sia indietro sulla tabella di marcia.
Partendo dalle Case della Comunità, delle 1.430 che vanno realizzate entro il 2026 a oggi ne sono attive 187, non più del 13%, e 14 regioni su 20 ne sono ancora prive. Inoltre anche dove queste strutture sono presenti il loro orario di apertura non è ancora “h24” in ben l’83% dei casi, e una su 3 è aperta per meno di 12 ore al giorno. Non va meglio per le Centrali operative territoriali, ovvero quelle strutture che dovrebbero gestire le esigenze dei cittadini e smistarle sul territorio: secondo il cronoprogramma dovrebbero esserne attivate ben 611 entro il 2024, ma al momento ne sono state realizzate solo 77, ovvero il 12% – e anche in questo caso ben 13 regioni non ne hanno nemmeno una attiva. Infine, gli Ospedali di Comunità, che dovrebbero essere 434 entro il 2026 – a ora non più di 76 (il 17%) sono attivi, e solo 10 regioni italiane ne hanno uno.
Il quadro, insomma, è decisamente negativo, e se questi progetti non verranno completati in tempo i fondi del PNRR andranno restituiti, aumentando di molto il rischio che le poche strutture ultimate diventino delle vere e proprie “cattedrali nel deserto”, anziché raggiungere la capillarità territoriale richiesta. Di certo il quadro economico non aiuta, con l’inflazione che ha fatto lievitare i costi, ma rimane il fatto che i decisori politici non solo non sembrano aver considerato bene i tempi, ma nemmeno le risorse umane necessarie. Ad oggi, infatti, non c’è né una norma che regola chiaramente in che modo i medici di famiglia dovrebbero essere presenti nelle strutture né un accordo contrattuale che disciplini chiaramente il loro ruolo e i loro compiti in Case e Ospedali di Comunità. Nel frattempo – e senza dover aspettare un quadro normativo o finanziamenti esterni – gli stessi medici di famiglia hanno spesso preso in mano la situazione, realizzando strutture e forme associative che possono garantire ai loro pazienti i servizi di cui necessitano: un processo che è già in atto da tempo, e nel quale è recentemente entrato in gioco anche l’ente previdenziale di categoria, l’Enpam. I medici di famiglia e i pediatri potranno infatti aggregarsi per dare vita a Case di comunità “spoke” (le più numerose e vicine al territorio) che saranno gestite in autonomia, e prese in affitto o in leasing con il sostegno economico dell’ente: un processo nel quale i medici di medicina generale, quindi, scommettono in prima persona, e questo per poter garantire a quanti più cittadini possibile quella prossimità e continuità di servizio che dovrà essere l’architrave del Sistema sanitario nazionale di domani.
(Photo credits: Jsme MILA/Pexels)