Le aggregazioni di medici di famiglia funzionano, perché abbandonarle?

L’esempio toscano delle Aggregazioni Funzionali Territoriali

I medici di famiglia italiani hanno più volte contribuito all’evoluzione della sanità pubblica, spesso anche chiedendo che venisse aggiornato il loro modo di operare per fornire un servizio migliore alla collettività. Un ottimo esempio di questo sono le Aggregazioni Funzionali Territoriali (Aft): ma cosa sono di preciso, e perché è utile parlarne oggi?

Era il 2012 quando l’allora Ministro della Salute Renato Balduzzi dava il suo nome alla legge 158, che prevedeva una serie di modifiche alla sanità. C’era già allora bisogno di un aggiornamento del modo di operare anche dei medici di famiglia per dare un servizio migliore ai cittadini, e gli stessi medici ne avevano chiesto uno. La legge creò quindi le Aft, dei gruppi di lavoro di medici per “fare rete” e prendersi cura in maniera più completa di ogni paziente, e i professionisti si impegnarono a concludere un Accordo Collettivo Nazionale che le rendesse realtà. I vantaggi delle Aft erano molti: i medici avrebbero infatti mantenuto la prossimità e un rapporto diretto e fiduciario con i propri pazienti, avrebbero aumentato gli orari degli studi, avrebbero potuto gestire le malattie croniche e fare esami diagnostici e avrebbero anche svolto le campagne di vaccinazione.
In Toscana la Regione e i medici di famiglia hanno fatto un accordo integrativo per attivare subito le Aft, mentre a livello nazionale mancava ancora una normativa attuativa: così facendo nella nostra regione le Aft sono divenute quasi subito una realtà, e oggi è con questo strumento che i medici possono gestire le malattie croniche, vaccinare e rispondere in maniera più efficace alla domanda di salute dei cittadini. Sempre grazie alle Aft i medici di famiglia toscani hanno potuto condividere competenze, strumenti diagnostici e risorse, creando così un sistema sanitario regionale più efficiente e al passo con i bisogni di salute dei cittadini. Tutto questo senza bisogno di diventare dipendenti pubblici, mettendo a disposizione i loro studi ed il personale di cui si sono dotati.

Nel resto d’Italia invece le Aft sono spesso rimaste sulla carta, soprattutto perché non sono stati sottoscritti in tempo gli Accordi Collettivi Nazionali: sono infatti arrivati solo lo scorso anno, con dodici anni di ritardo. Nel frattempo la Regione Toscana è ai primi posti nella classifica degli indicatori di funzionamento della sanità pubblica, e questo grazie anche all’esperienza positiva delle Aft, che a oggi rimangono un caso studio positivo di innovazione della medicina territoriale.

Purtroppo però l’esempio della Toscana rischia non solo di rimanere isolato, ma di essere addirittura abbandonato: il dibattito pubblico si sta infatti spostando su un modello di dipendenza dei medici di famiglia incentrato su poche Case di Comunità, dove operano più professionisti “a ore” e a turni. Un modello molto più centralizzato, del quale non sono chiari né limiti operativi né costi, che rinuncerebbe alla rete degli studi medici sui territori e che non è detto sappia rispondere allo stesso modo ai bisogni di salute dei cittadini. L’esempio toscano delle Aft ci dimostra invece che se amministrazioni e professionisti dialogano i risultati si vedono, senza dover mettere in discussione la natura giuridica del medico di famiglia.

(Photo credits: RM Health Care/Pixabay)

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