Atti medici nelle farmacie, dov’è il limite?

La relazione tra medici di famiglia e farmacisti nella sanità territoriale

Il medico di medicina generale e il farmacista sono presidi sanitari indispensabili per i cittadini sul territorio. Ognuno ha un ruolo specifico ma queste due figure sono quelle con cui tutti noi ci confrontiamo più spesso, e negli ultimi anni si è discusso molto sulla possibilità di ricevere una molteplicità di servizi accessori proprio nelle farmacie. Ma qual è il limite da mantenere fra prestazione sanitaria e un vero e proprio atto medico?
Il contesto attuale va sempre di più verso vere e proprie “farmacie dei servizi”, nelle quali – stando al più recente “Decreto Semplificazioni” – potrebbero essere forniti tutti i vaccini del piano vaccinale a chi ha più di dodici anni, test diagnostici (come il monitoraggio della pressione tramite holter e la misurazione di glicemia e colesterolo) e telemedicina, fino alla possibilità di scegliere medico di famiglia e pediatra. Ovviamente una scelta del genere ha dei benefici immediati sia per i cittadini che per i loro medici di medicina generale, dato che permette ai secondi di massimizzare l’uso del loro tempo per l’effettiva pratica medica, ma bisogna sempre tenere in mente una differenza: quella tra un generico servizio in ambito sanitario e un vero e proprio atto medico. Misurare la pressione è un servizio, ma refertarne il risultato è un atto medico e così è anche per un elettrocardiogramma, che ad esempio non ha alcun valore per un certificato senza la refertazione di un medico. Le due figure, insomma, hanno delle specificità che possono e devono collaborare sempre di più, ma senza entrare nelle rispettive sfere di attività: la somministrazione dei vaccini, ad esempio, non può prescindere da una attenta anamnesi e da un’osservazione clinica post-somministrazione, proprio perché nell’interesse del paziente è imperativo che in caso di eventuali reazioni avverse il medico possa agire tempestivamente e con cognizione di causa. Inoltre bisogna tener presente che offrire sempre più servizi in farmacia significa aumentare la quota di spesa sanitaria che viene sostenuta dai cittadini di tasca propria, e che secondo gli ultimi dati della fondazione Gimbe ha già raggiunto i 37 miliardi di Euro.
Quello fra medico di famiglia e farmacista, insomma, è un rapporto che va sì potenziato per soddisfare la domanda di salute di una popolazione che statisticamente invecchia sempre di più, ma ciò non può avvenire facendo compiere atti medici a chi medico non è. Da questo punto di vista risolvere la crisi della medicina generale, dove sempre meno professionisti devono seguire sempre più pazienti e fare i conti con sempre più burocrazia, è imperativo per mantenere gli atti medici nel loro contesto adeguato, ovvero gli studi dei medici di famiglia.


(Photo credits: Dimitris Vetsikas – Pixabay)

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