COME E PERCHÉ LA SITUAZIONE ATTUALE VIENE DA LONTANO
Che il Sistema sanitario nazionale si trovi in crisi è purtroppo un dato di fatto. Uno degli esempi più comuni è quello dei pronto soccorso, i cui operatori devono sopportare carichi di lavoro insostenibili e spesso anche rischiare la propria incolumità: il risultato è che sempre meno laureati scelgono quella professione, aggravando il problema. Di questo vengono spesso incolpati i medici di famiglia, che sono il primo punto di contatto con la sanità pubblica, a causa dei molti luoghi comuni sulle loro condizioni di lavoro. Ma è davvero così?
Cominciamo dalle ore di lavoro in studio, che sono almeno 15 a settimana e passeranno presto a 25: molti confondono questo monte ore con l’intera attività del medico di famiglia ma si tratta di una piccola parte dei suoi compiti, perché oltre a questo bisogna considerare le visite a domicilio e nelle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA), le moltissime chiamate e contatti via mail e Whatsapp dei suoi pazienti e – ultimo ma non certo secondario – un carico burocratico che anche tramite i moderni mezzi informatici sottrae moltissime ore alla pratica medica. Non di rado, quindi, un medico di medicina generale con un numero alto di pazienti lavora tra le 50 e le 60 ore a settimana, quando non oltre. Il secondo luogo comune è relativo a fine settimana, festivi e ferie: i medici di famiglia non sono attivi nei primi due casi ma questo stato di cose è chiaramente stabilito dall’ACN, l’accordo collettivo nazionale che regola il rapporto tra Stato e medici, il quale delega il compito in quei giorni alla continuità assistenziale (l’ex “guardia medica”) e ai pronto soccorso. Per quanto riguarda le ferie e la malattia, poi, un medico di famiglia può goderne solo a sue spese e solamente se c’è un collega disposto a sostituirlo: i suoi pazienti, quindi, vengono comunque seguiti da un altro medico in quel periodo.
Negli anni, inoltre, i medici di famiglia si sono organizzati autonomamente per fornire ancora più servizi e assistenza ai loro cittadini tramite attività come la medicina di gruppo e l’organizzazione in cooperative. Tutto questo mentre la professione perdeva inesorabilmente di attrattività e quindi il numero di nuovi professionisti non bastava a sostituire coloro che andavano in pensione, col risultato che ognuno di loro oggi deve seguire sempre più pazienti per non lasciare nessuno privo di un medico di riferimento.
La crisi dei pronto soccorso, a ben vedere, è quindi il rovescio della medaglia di una vera e propria crisi della medicina generale: nel corso degli ultimi 30 anni sempre meno giovani hanno scelto di diventare medici di famiglia e nel frattempo si è costretto i rimanenti ad affrontare a un carico burocratico sempre maggiore, lasciando loro meno tempo per seguire un numero di pazienti in crescita. Ed è per questo motivo che in assenza di una medicina di territorio davvero attiva i cittadini si rivolgono ai pronto soccorso anche per necessità non urgenti. Un parere condiviso anche da Antonio Magi, Presidente dell’Ordine provinciale di Roma dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, che puntualizza come “è essenziale che i medici di medicina generale siano messi nelle condizioni ottimali per svolgere il lavoro con efficienza e che il loro contributo sia pienamente riconosciuto e valorizzato. La salute dei nostri cittadini dipende in gran parte dal loro impegno e dalla loro professionalità”. L’attuale stato di cose, quindi, può essere risolto solo destinando risorse economiche adeguate al Sistema sanitario per rendere la professione di nuovo appetibile e adeguando gli stipendi degli operatori sanitari a quelli che possono trovare all’estero, impedendo così che risorse umane formate a spese di tutti si trasferiscano altrove.
(Photo credits: Mufid Majnun/Unsplash)