ANCORA MANCA UN RIDISEGNO COMPLESSIVO PER LE CURE TERRITORIALI
L’aula di Montecitorio ha approvato la manovra finanziaria: il Fondo sanitario nazionale è stato aumentato di 3 miliardi per il 2024, di 4 per il 2025 e di 4,2 per il 2026, e sono state anche dedicate risorse per nuovi contratti e per l’abbattimento delle liste d’attesa. Buone notizie quindi? Non esattamente, perchè questi provvedimenti vanno inquadrati nel contesto in cui ci troviamo per comprenderne bene la portata.
Innanzitutto i fondi aggiuntivi: si tratta sicuramente di una buona notizia, ma se si considera l’inflazione in doppia cifra degli ultimi anni nei fatti il Fondo non è stato aumentato in termini reali, almeno per l’anno appena cominciato. Per quanto riguarda poi i contratti bisogna tener presente che per i medici di medicina generale, che sono la spina dorsale della sanità territoriale, dev’essere ancora concluso l’Accordo Collettivo Nazionale per il triennio 2019-2021 e subito dopo quello del triennio 2022-2024, perché sarà in quest’ultimo contratto collettivo che si stabiliranno, fra gli altri, i compiti e i ruoli dei medici di famiglia nella sanità secondo il PNRR. Questo però presuppone che nel frattempo la riforma venga applicata alle cure territoriali: cosa che finora non è stata fatta, mentre la scadenza inderogabile del 2026 si avvicina. Il rinnovo dei contratti, quindi, era in un certo senso il “minimo sindacale” ed è stato fatto, ma non è stato fatto nulla per arginare la vera e propria emorragia di medici di famiglia che sta mettendo in crisi la continuità assistenziale (la ex “guardia medica”) e lasciando scoperti sempre più cittadini. Altro aspetto da considerare, poi, è l’abbattimento delle liste d’attesa: una cosa sicuramente positiva per la salute dei cittadini, ma che è stata affrontata decidendo di coinvolgere i centri privati, ai quali andranno quindi fondi che potevano essere invece destinati al potenziamento delle strutture del Servizio sanitario nazionale.
La mancata riorganizzazione della sanità pubblica, inoltre, ha un riflesso immediato e importante dal punto di vista economico: la cornice è nazionale ma sono le Regioni a gestire il Servizio sanitario sui territori, e quindi ogni amministrazione per garantire un certo livello di servizi è spesso costretta ad aumentare le imposte locali, come recentemente successo in Toscana. Con l’aggravante che le Regioni ricevono i fondi dallo Stato in quota pro capite, e quindi ogni amministrazione riceve la stessa somma a prescindere da quanti investimenti faccia (o non faccia) nelle strutture sanitarie di sua competenza. Un ulteriore discrimine territoriale che aumenta il divario tra regioni, alimentando fenomeni come il turismo sanitario e il ricorso alla sanità privata.
(Photo credits: Camera dei Deputati/camera.it)