Si susseguono gli articoli che raccontano come il governo stia cercando di prendere tempo con l’Europa: passano i giorni, ma lo stato di avanzamento delle riforme legate al PNRR è sempre al palo. Compresa la cosiddetta “misura 6”, che dovrebbe finalmente permettere all’Italia di modernizzare la sua sanità pubblica partendo dalla medicina di territorio e di prossimità. Dove oggi ci sono medici di famiglia, pediatri di libera scelta e guardie mediche – anche se sempre meno, a causa di scelte miopi e un carico burocratico insostenibile – domani ci saranno anche ospedali e case di comunità. O per meglio dire dovrebbero esserci, dato che il resoconto che l’agenzia per i servizi sanitari regionali (Agenas) ha presentato al Senato dipinge un quadro davvero impietoso: attualmente sono attive a livello nazionale l’8,5% delle case della comunità finanziate col PNRR, e il 7,1% degli ospedali di comunità.
Il ritardo sulle tabelle di marcia concordate con Bruxelles è palese, anche nelle poche regioni – come Toscana, Emilia Romagna e Puglia – dove si è fatto di più, e di fronte all’incapacità di rispettare i tempi si è corsi a negoziare per avere più tempo. Il rischio sempre più concreto è di perdere i fondi europei per la sanità in toto, visto che senza l’aspetto territoriale la riforma (descritta nel Decreto Ministeriale 77 del 2022) praticamente non esiste più. Creare fisicamente ospedali e case di comunità, inoltre, non è sufficiente: ad oggi manca ancora una definizione precisa di come i medici di famiglia vi opereranno, e come se non bastasse devono ancora essere siglati due accordi nazionali di categoria, di cui uno scaduto nel 2021. I due miliardi messi sul piatto dal governo per la sanità, poi, sono un buon segnale, ma rimane il fatto che non bastano nemmeno a coprire i costi in essere, visti i tassi d’inflazione attuali: ad oggi restano scoperti infatti sia gli extra-costi sostenuti per il Covid che quelli dovuti ai rincari energetici.
Sotto il Sistema sanitario nazionale, insomma, c’è una bomba chiamata definanziamento, i cui effetti potrebbero essere innescati proprio da una fase come questa, nella quale i fondi del PNRR ancora non arrivano e lo Stato non riesce a trovarne di sufficienti per garantire il funzionamento giorno per giorno. La mancanza di fondi, fra l’altro, non solo rende più difficile l’operatività delle strutture esistenti, ma mina alla base la vera linfa vitale della sanità italiana, ovvero il personale: senza medici, tecnici, specialisti e infermieri, infatti, anche l’ospedale o la casa di comunità più avveniristiche non è che una scatola vuota. E se questi professionisti non verranno valorizzati adeguatamente, dando loro stipendi e carichi di lavoro comparabili a quelli che trovano in altri paesi europei, il trend che ha visto un medico italiano su 5 scomparire in quindici anni tra medici di famiglia, pediatri e guardie mediche potrebbe essere solo all’inizio.
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